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martedì 15 ottobre 2013

Legge di stabilità: forse decollerà il Fondo centrale di garanzia 2.0, sostenuto da ABI e associazioni d'impresa riunite

Come riferisce il Sole 24 ore, il piatto forte delle azioni di sostegno al credito del Governo Letta sarà (soldi permettendo) il potenziamento del Fondo centrale di garanzia secondo il disegno inizialmente tracciato prima dell'estate da think tank ed esponenti del mondo bancario. Pare che il progetto abbia l'appoggio non soltanto dell'Abi, ma di tutte le associazioni d'impresa.

Lo si apprende dallo stesso quotidiano in un  articolo dell'11 ottobre. Il rassemblement delle rappresentanze delle banche e delle imprese (Confindustria-Abi-Alleanza Cooperative-Rete Imprese Italia) propone, in una lettera al premier Letta, di affiancare al Fondo Pmi (potenziato) altri due fondi di garanzia: uno per i grandi progetti di innovazione industriale e uno per le famiglie, con garanzie sui mutui casa, sull'acquisto di beni durevoli e interventi per le eco-ristrutturazioni.
Per tale intervento occorrerebbero, secondo i proponenti, tra i 3 e i 4,6 miliardi di risorse aggiuntive, con un onere annuo tra 1 e 1,6 miliardi. L'impatto tuttavia sarebbe sul debito [futuro], con un'incidenza sul deficit [corrente] che sarebbe invece limitata alle effettive escussioni annuali della garanzia. Considerando l'attuale tasso di insolvenza [dato peraltro noto a pochi], i proponenti ipotizzano un impatto contenuto in circa 300 milioni nel primo anno.
Il piano presentato al governo propone che le garanzie siano cedibili a istituzioni creditizie pubbliche (Cassa DD.PP. e BEI) per accedere a provvista finalizzata e agevolata.  Infine, il Fondo Pmi dovrebbe anche garantire emissione di obbligazioni e cambiali finanziarie.
Trovo difficile interpretare e valutare questa proposta, soprattutto confrontarla con le proposte di AssoConfidi che commentavo ieri. Pare che le banche abbiano convinto i vertici delle associazioni datoriali a portarsi sulla loro posizione: chiedere allo Stato di accollarsi più rischio di credito (a prezzo politico) su operazioni intermediate dalle banche a fronte di provvista diretta, agevolata (BEI, Cassa DD.PP.) e di mercato (Minibond e cambiali finanziarie). 
C'è bisogno di aumentare la massa critica dell'aiuto pubblico, e rivolgerne la parte più massiccia alle medie imprese, oltre che alle famiglie. Le micro e piccole imprese, in origine principali beneficiarie del Fondo Pmi, sono in questo disegno una componente minoritaria, anzi un intralcio alla manovra di riposizionamento del Fondo. Naturale complemento del Fondo 2.0 sarebbe quindi uno spostamento degli aiuti alle micro-piccole sulle misure regionali.
Tutte cose già sentite. Ora potrebbero accadere. Se accadranno, i confidi saranno toccati. Ho la sensazione che le Associazioni d'impresa (a cominciare da Confindustria) stiano riconsiderando il ruolo della garanzia collettiva nella loro offerta di rappresentanza e servizi. Oggi i confidi, come intermediari del rischio, sono per le associazioni fonte di problemi: alcuni sono in dissesto, molti sono al limiti degli equilibri gestionali. Ma non è solo questo il problema. Per rafforzare gli equilibri gestionali e la forza contrattuale, altri confidi hanno perseguito una crescita dimensionale e professionale che ha condotto verso modelli autonomi dalle associazioni (pensiamo ai due nomi più importanti). Anche i confidi "autonomi" peraltro dipendono per l'equilibrio economico dall'intermediazione di risorse pubbliche.
E' facile che in questo scenario le Associazioni siano tentate di sganciarsi dai confidi (specialmente se i confidi hanno nel frattempo esaurito la dotazione di risorse pubbliche) per riportare al loro interno un'attività di servizio più leggera, più decentrabile e con un modello di economicità più semplice: chiamiamola consulenza o mediazione creditizia, o magari consulenza amministrativo-finanziaria integrata e continuativa (quella del "mio" business office), o magari anche nuovi servizi di certificazione di nuovi strumenti di finanziamento e sviluppo aziendale (reti di impresa, incubatori, private equity, mini-bond, ecc.).
Se il disegno è questo, i confidi sono spacciati: chi li sosterrà? Forse le associazioni dello small business non sono ancora migrate nel campo un tempo avversario, o sono sul punto divise al loro interno. Confindustria, dal canto suo, pare aver già preso posizione: il documento della "Commissione Pesenti" (vedi comunicato di luglio e anticipazioni dell'8 ottobre), scritto per rispondere alla crisi di iscrizioni e ai costi di struttura non più sostenibili, pare che non dedichi grande attenzione ai confidi affiliati.
Vi confesso che il disegno di rilancio del credito alle Pmi tracciato nella lettera delle Associazioni al Premier mi sembra molto limitato: è una manutenzione straordinaria degli interventi di contenimento della crisi attuati con le moratorie del credito (i proponenti sono gli stessi che le hanno firmate). Non produrrà qualità e innovazione nell'offerta di finanziamenti alle imprese, e nemmeno nell'offerta di servizi professionali. Che fine faranno i confidi? Saranno riassorbiti nelle strutture di consulenza delle Associazioni? O si metteranno in concorrenza definitivamente, trasformandosi in società private di mediazione creditizia e consulenza sui contributi pubblici? Alcuni sopravviveranno perché già in grado di camminare sulle loro gambe? 
Non ho una risposta, ditemelo voi.
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