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venerdì 30 settembre 2011

Nicolai: non sono i confidi l'arma contro il credit crunch

Vi segnalo l'articolo di Marco Nicolai uscito oggi su MF (lo trovate qui sul sito dell'autore). Come nell'intervento precedente sul Sole 24 ore (vedi post), Nicolai fa un inventario delle debolezze dei confidi (cito due passaggi):
I Confidi sono di nuovo al centro dell'attenzione della politica economica come strumento per affrontare la crisi finanziaria. Tuttavia, designare questi enti quale braccio armato nella lotta alla crisi è quanto di più improprio si potesse fare. Da tempo, infatti, i Consorzi di garanzia fidi e i rispettivi stakeholder temporeggiano nella ricerca di un equilibrio economico-finanziario e di un modello che riproponga un loro ruolo strategico nel mercato del credito, in grado di reinterpretare le istanze originarie in uno scenario completamente mutato, non solo a causa della crisi. In tale contesto di debolezza, non è certo delegando a tali operatori la sfida impossibile di «Ghostbusters» della crisi che li si può aiutare a trovare una via d'uscita.
Oltre a queste, anche altre criticità rendono improprio oltre che improbo assegnare ai Confidi una funzione anticiclica. Si tratta di concentrazione del rischio, patrimonializzazione, dipendenza dal settore pubblico, dimensione, governance e professionalità.
Il resto dell'articolo precisa e documenta queste affermazioni. Apprezzo come sempre il realismo e l'accuratezza dell'analisi di Nicolai. Pur condividendo gran parte della sua diagnosi (che appare impietosa), sono restio a esternare le mie critiche, che pure ho espresso senza giri di parole nei miei ultimi interventi a convegno, come questo.
Sono bloccato, non so che cosa è meglio fare. D'istinto, rimango fiducioso sulla possibilità di migliorare le cose. Ma poi sulla fiducia incombe lo scetticismo: dopo dieci anni di frequentazione, fatico a credere che il sistema confidi sprigioni al suo interno forze vigorose di cambiamento.
Come osserva Nicolai nell'articolo, i confidi sono arrivati strutturalmente deboli ad arginare la prima ondata della crisi. Deboli nel patrimonio, negli equilibri gestionali, negli assetti organizzativi. Come possono reggere l'urto della seconda, della terza ondata? Si candidano a farlo per ottenere nuovi fondi pubblici. Ne hanno urgente bisogno per sanare le ferite delle battaglie già combattute. I loro sponsor li appoggiano nella richiesta, e non soltanto per motivi di bandiera, o calcoli elettorali: rimangono l'unico strumento di protezione delle Pmi dalla stretta creditizia. Fragile, inefficiente, parolaio quanto si vuole, ma l'unico.
Che si fa allora? Diciamo stop all'accanimento terapeutico verso i confidi? Qualcuno ha delle alternative, interne ed esterne al sistema? 
Per parte mia, sul piano dell'analisi non ho niente da aggiungere a quello che avete già letto o sentito da me recentemente. 
Sul piano dell'azione ho ripreso a fare qualcosa. Un confidi trentino mi ha chiesto un aiuto per la pianificazione e il controllo di gestione, e ho ripreso in mano i modelli fatti per la domanda di iscrizione a 107; siamo prossimi ad accedere agli archivi del suo gestionale per estrarre i dati (ho pronta la bottiglia di Ferrari per l'evento a lungo sospirato). Lunedì 10 ottobre incontrerò a Milano un gruppo di direttori di confidi nell'ambito di un programma di formazione del Consorzio camerale credito e finanza, parleremo di diversificazione dei servizi (sì, proprio del famigerato business office). A Bolzano sto collaborando con la Provincia autonoma per la nuova legge sui contributi ai confidi, dove cercheremo di introdurre criteri più equi, robusti e responsabilizzanti. E poi c'è il dialogo con le associazioni di settore, che ha prodotto qualche telefonata cordiale e informativa.
Non so, potrebbe mettersi in moto un cambiamento inatteso, un ringiovanimento generale che scardina l'inerzia e il pressapochismo, infondendo nuove ragioni, risorse, ed energie. Lo spero dal profondo del cuore. Può ancora essere un'impresa entusiasmante, ma è più dura di un tappone dolomitico. 
Chi pedala, tirandosi dietro il gruppo di testa? 
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2 commenti:

Fabio ha detto...

Caro Luca,
mi rifaccio vivo (il blog in ogni caso l'ho sempre seguito). Come sai, pur operando in un Confidi, non ho mai nascosto ciò che a mio avviso ritengo siano le debolezze e le sfide dei Confidi, così come mi sono più volte interrogato sul ruolo, non senza fare autocritica (vedasi ad esempio il materiale di quell'intervento a un convegno che hai pubblicato nel blog). Ricorderai che in quell'intervento affermavo che i Confidi non erano e non potevano essere strumenti e soggetti anticrisi (ruolo improprio). Nicolai evidenzia le debolezze e i limiti del sistema (piaccia o non piaccia ci sono e conoscerli è doveroso). Rimane la questione che poni: che si fa? Vedo piccole e medie imprese che faticano, vedo le revoche degli affidamenti e ciò che ne consegue, la difficoltà di tutti i finanziatori (Confidi compresi) a dare fiducia ad un sistema imprenditoriale che registra tassi si insolvenza preoccupanti. Non possiamo però arrenderci. Quale altro strumento o soluzione? Ben vengano ma chi li ha li tiri fuori e li porti avanti. I Confidi oggi stanno cercando di garantire le imprese che ritengono (valutano) ce la possano fare ma chiaramente è attività assai rischiosa e che necessita di patrimoni solidi e liberi da macigli (sofferenze). Non sono convinto che non serviamo a niente e che sperperiamo risorse pubbliche (fossero questi gli sperperi). Hai partecipato ad un nostro C.d.A. e hai avuto modo di appurare che la voce contribuzione pubblica ha rappresentato per noi negli anni il nulla. L'unica cifra di rilievo che abbiamo incamerato è un debito (prestito subordinato). I nostri "valutatori" interni (area crediti e comitati) si adoperano per capire se la concessione della garanzia sia utile al proseguo del progetto industriale, proponendo quindi agli organi deliberanti il rilascio o meno delle garanzie. In tale contesto di diffusa insolvenza fanno chiaramente fatica. Non possiamo però mollare (ogni volta che se ne "indovina" una, contribuiamo nel nostro piccolo alla tenuta del sistema). A presto

Anonimo ha detto...

Grazie, Fabio. Sono sicuro che molti confidi hanno lavorato bene, facendo tutto il possibile per aiutare le imprese nell'accesso al credito. Purtroppo la terapia del credito di sostegno alla liquidità ha perso efficacia sia verso le molte imprese già aiutate dai confidi, sia verso quelle che ne chiedono adesso l'intervento. C'è bisogno di trovare strumenti nuovi. E occorre un piano di interventi straordinario concordato con le banche (prima di tutto) e con gli enti pubblici. Invece il piano che vedo profilarsi è un piano inclinato: i confidi non sanno come muoversi (o non hanno i mezzi per fare le cose che servirebbero); le banche e gli enti pubblici tendono a tirare i remi in barca, perché hanno i loro problemi di bilancio. Se non si fa nulla, arriveremo al blocco dell'operatività, e dopo non so che cosa potrebbe succedere a molti confidi.
Per tornare a prendere iniziativa, il settore confidi dovrebbe dare spazio ai manager, ai tecnici, importando nuovi talenti dalle banche e dall'industria. Senza offendere nessuno, voglio affermare che è ora di liberarsi di quello strato di agenti di collegamento con la politica e con l'ente pubblico che nel decennio di mia frequentazione dei confidi ho visto muoversi, al centro e in periferia, sempre in ritardo, sempre trascurando i problemi organizzativi e gestionali, sempre mettendo al primo posto la difesa di posizioni acquisite, forti del loro potere di ottenere soldi (o altro) dalla politica.
Sono soggetti collaterali ai confidi, direi estranei, con interessi divergenti. Sono loro i responsabili della cattiva opinione che molti gestori di risorse pubbliche (come Nicolai) si sono fatti dei confidi. Sarebbe ora di chiedere loro due passi indietro: ci si intenda sugli obiettivi, poi si lascino le strutture libere di respirare e di riorganizzarsi, interloquendo direttamente con le imprese socie e le loro urgenze. Non c'è bisogno della mediazione di nessuno per interpretare i bisogni delle imprese e rispondere.