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venerdì 2 settembre 2011

Manovra: la pianificazione finanziaria personale non si fa (solo) per il Fisco

Senza interrompere il silenzio stampa che mi sono autoimposto qui, prendo spunto dalla manovra fiscale presentata oggi sui giornali per tornare su un tema caro: quello della trasparenza dei dati sui rapporti bancari e gli investimenti. Come illustrato in questo articolo, il Governo vorrebbe introdurre l'obbligo di esporre in dichiarazione  le attività detenute presso banche, Poste, SGR e ogni altro operatore finanziario.
I dati così autodichiarati potranno essere usati per le procedure di accertamento, ferma restando la possibilità, per il Fisco, di richiedere informazioni direttamente agli intermediari. Immagino la quantità di carta che un contribuente medio dovrà raccogliere (non gratis) presso banche e altri, la loro verifica ed elaborazione, la trascrizione in dichiarazione, ecc. Nonostante gli sforzi, non sarà facile avere dati puliti ed omogenei, e soprattutto ricavarne informazioni chiare, ad esempio, quanti degli addebiti su un conto aziendale sono di fatto prelievi di reddito.
Io penso che prima che al Fisco, interessa al contribuente conoscere i suoi investimenti a livello aggregato. Negli USA, c'è un servizio web sviluppato da Intuit (si chiama Mint) che aggrega automaticamente i rapporti bancari  e gli investimenti di un soggetto andando a interrogare i sistemi di internet banking degli intermediari. In Italia questo non è possibile: nel mio Internet Banking trovo viste parziali e aggregazioni limitate a poche grandezze, non riesco a navigare in modo semplice tra i miei depositi, titoli, fondi, e sto parlando di una singola banca.
Se fossi al Governo, farei di tutto per incentivare la diffusione spontanea di servizi come Mint, enfatizzandone l'utilità per la gestione dei propri risparmi. Non imporrei per legge una costosa brutta copia ad uso fiscale, che serve soltanto a diffondere paura e far scappare i capitali dal paese: non dimentichiamo che la Svizzera ha fatto digerire il segreto bancario a suon di denari a Germania e Regno Unito, che non sono due Banana Republics; Italia e Francia sembrava volessero tenere duro sul principio dell'accesso alle informazioni, ma con la fame di quattrini dei governi potrebbero accettare uno scambio simile (ne parla il Sole 24 ore).
Abbiamo una leva formidabile per la lotta all'evasione: quella del credito. Se le banche esigessero più trasparenza e qualità dell'informativa sulle imprese e sui patrimoni, e fornissero le infrastrutture per ottenerla a minor costo (con servizi di internet banking e altro), sarebbe un grosso passo avanti.
A margine noto che la caccia all'untore, casta o evasore fiscale, che sta imperversando è un trastullo pericoloso, del tutto inefficace rispetto all'urgenza di tagliare il deficit immediatamente. Penso che l'elettorato non sia così stupido da premiare chi agita questi spauracchi, sia che la faccia stando al Governo, sia che punti a rovesciarlo.
E allora perché proposte demagogiche come queste prendono tanto spazio nel dibattito politico? Perché non si punta su una riforma fiscale che scambia aliquote più basse e semplificazione contro accertamenti più efficienti e severi? Perché l'ABI, le associazioni di impresa e gli ordini professionali non si fanno avanti per aprire la strada a questa rivoluzione copernicana? Stampa questo post

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