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venerdì 12 agosto 2011

Roubini: subito governo tecnico, per il resto c'è tempo [o l'opposto?]

In un'intervista a Repubblica uscita oggi, il profeta della crisi 2008, Nouriel Roubini, ha le idee molto chiare sulle cose da fare subito per salvare l'economia italiana (in totale sintonia con la linea del giornale):
«L´unica cosa che dovete fare davvero subito è cambiare governo. Tutto il resto - pensioni, mercato del lavoro, tasse, liberalizzazioni - verrà dopo. E´ l´intervento più urgente, più importante ancora degli interventi sul deficit: l´Italia deve mandare a casa la compagine attuale, che ha perso qualsiasi credibilità internazionale, e mettere al lavoro un gruppo di economisti competenti e interessati al destino del Paese, non a quello loro personale. Questa task-force dovrà studiare le misure necessarie». [...]
«L´Italia è sull´orlo della recessione, anzi forse c´è già dentro. Questa è la verità. Ormai non è più solo questione dell´atteggiamento e dei comportamenti del premier, che vi hanno scavato una fossa di incomunicabilità col resto del mondo: è il governo nella sua interezza ad aver dato una prova di incapacità che ha compromesso irrimediabilmente la fiducia nel Paese. Andrebbe insediato senza aspettare neanche un giorno un esecutivo tecnico, al quale va dato il tempo per impostare le riforme che poi un successivo governo eletto dovrà realizzare».
A Roubini va dato atto di aver saputo prevedere la dinamica della crisi da fine 2006 con coraggio e lucidità. Non a caso da allora lo chiamano Mr Doom (Signor Apocalisse). E' sempre bravo e informatissimo come analista dell'economia internazionale. Come fornitore di soluzioni non lo so. Nelle scelte di politica economica, l'Italia del dopo crisi non ha fatto miracoli, ma non ha nemmeno commesso errori clamorosi. Non ha affrontato i problemi strutturali, questo è vero. L'economia reale ha accusato il colpo, poi ha reagito (l'export è cresciuto come in Germania).
Quello che si è fatto lo si è fatto nel frastuono degli scontri politico-giudiziari-mediatici tra il premier e i suoi più accaniti avversari. Oggi non serve a nulla cercare i colpevoli di questa paranoia autodistruttiva, ormai la frittata è fatta.
Siamo su una parabola discendente, in termini di competitività, nell'uso del denaro pubblico ci sono sprechi e iniquità scandalose, e quindi c'è bisogno di una svolta. C'è ancora un governo in carica, che opera già sotto tutoraggio (Quirinale, BCE, UE, Germania). La palla la deve giocare questo governo. Le dimissioni di Berlusconi potrebbero dare una scossa al sentiment di qualche investitore per un giorno, ma dal giorno dopo si tornerebbe a parlare delle cose da fare senza nessuno che le fa. I governi di economisti bravi e volenterosi erano possibili nel Cile di Pinochet. Non siamo ancora a quel punto.
Il problema cruciale oggi è salvare la coesione politica e sociale con un programma che metta insieme i sacrifici immediati che ci chiedono i tutori di cui sopra (più tasse e meno spesa sociale, per farla breve) con azioni di rimozione dei pesi morti che ingabbiano il dinamismo dell'economia, bruciano risorse, distruggono la ricchezza del paese.
Decidere e attuare i sacrifici, per quanto traumatici, è relativamente banale, ne conosciamo già costi e benefici dall'esperienza. I governi possono adattare il menu ai gusti degli elettorati, ma i gradi di libertà sono minimi. Qualsiasi governo va bene.
Le azioni per mettere ordine e rilanciare sono ben'altra cosa. Non sono ricette meccaniche che un podestà straniero ci può imporre. Tagli dei costi della politica, liberalizzazioni, privatizzazioni, investimenti in infrastrutture, istruzione, ricerca, lotta alla criminalità (chissà perché non la si menziona mai in questi giorni, col peso economico che hanno le mafie?): sono tutte cose nelle quali il come conta cento volte di più del che cosa. Dietro uno slogan si possono celare mille intenzioni e interessi diversi, confliggenti tra loro. Sono cose che occorre prendere sul serio. Occorre la forza di dire tanti no, a chi si oppone al cambiamento perché sta bene lì dov'è, e a chi lo vuole piegare ai suoi interessi per entrare nel gioco e farsi qualche buon affare.
Anche qui i vincoli finanziari possono fare da grimaldello che sblocca: se un ente territoriale è in bancarotta perché eroga servizi al triplo del costo standard, allora l'aggregazione con altri non è più un tabu, ma un'ancora di salvezza per non tradire il suo impegno verso i cittadini. Però occorre una fortissima attenzione quando si decide come riorganizzare perché si affermino i modelli più virtuosi.
Qui può essere utilissimo il lavoro di analisi, di critica dell'azione di governo degli economisti bravi e volenterosi (ma anche degli urbanisti, dei giuristi, degli ingegneri). Ancor di più è utile che i professori stimolino nei loro studenti una capacità critica, ma non faziosa, ideologica, rispetto alla politica. Ci sarà sicuramente un movimento di protesta tra i giovani: può essere una risorsa preziosa per cambiare le cose in meglio, ma occorre spendersi, dialogare instancabilmente, perché non sia schiacciato verso la domanda di protezione pubblica, o peggio ancora piegato verso posizioni utopistiche, e sfoghi violenti.
E se questo non è sufficiente a orientare in senso virtuoso i comportamenti delle nostre classi dirigenti, accettiamo di essere monitorati da tutor stranieri nell'azione amministrativa. E' più utile che farsi imporre una riduzione del deficit o la soppressione della festa della Repubblica. Ad esempio, perché non coinvolgiamo nelle procedure di valutazione di appalti e concessioni dei commissari tedeschi, olandesi o finlandesi, che poi riportano all'UE e ai loro governi. Se non impazziscono prima, possono insegnarci delle cose che non siamo bravi a fare, e ostacolarci nel fare quelle in cui siamo troppo bravi.
Beh, ora chiudo perché è ora di preparare le valige per il mare, scusate la divagazione. Stampa questo post

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