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giovedì 30 giugno 2011

Studi professionali: rompere l'assedio offrendo servizi nuovi con strutture più solide

Con la manovra si è tornato a parlare di liberalizzazione degli ordini professionali, come rileva questo commento sul Sole 24 ore.  Molte comunità professionali sono percorse da forte disagio: il calo del lavoro (come per le imprese clienti), la crescita degli iscritti, la difficoltà di formazione e di inserimento dei giovani.

In molte regioni c'è uno stato di cronica sotto-occupazione dei professionisti.
In questa situazione gli studi avviati difendono i propri spazi dal possibile inasprimento della concorrenza, da parte di colleghi junior, Associazioni di categoria, società di servizi, altre figure professionali (come i tributaristi e i consulenti del lavoro). Ho trovato per caso questo post di un commercialista che riassume la memoria storica:

Il fatto è che con la riforma fiscale del 1972-73, con l'aumento esponenziale dei soggetti che dovevano tenere la contabilità, c'è stato un aumento altrettanto esponenziale della domanda mentre i commercialisti erano pochi: ogni studio aveva le capacità per tenere X clienti ma ne aveva 20 volte tanti che gli bussavano alle porte pregando in ginocchio di essere "accettati".
Fu così che negli anni 70-80 la nostra professione iniziò a far gola a molti, ma non tutti ce la facevano ad abilitarsi; fu allora trovata la solita soluzione geniale all'italiana per far entrare sul mercato soggetti anche incapaci (spesso e volentieri figli zucconi di commercialisti anziani che non volevano fosse disperso il "patrimonio" di clientela). Nacquero così le varie "professioni" parallele, i centri elaborazione dati ed i grossi centri servizi delle associazioni di categoria, soggetti tollerati, se non addirittura ignorati, dai
commercialisti "veri" perchè "tanto c'è spazio per tutti"; oggi che lo spazio per tutti è finito da un pezzo ci si mangia le mani per non aver preso allora quei provvedimenti che oggi non puoi più prendere.

Il Governo ha proposto di abbassare ulteriormente i filtri all'ingresso, fino alla ventilata soppressione degli esami di Stato. La reazione non si è fatta attendere.
L'articolo citato invita a superare la sindrome della cittadella assediata, e a risolvere il conflitto rilanciando il ruolo dei professionisti in strutture più grandi e strutturate come imprese di servizi a carattere multidisciplinare.
In effetti, frequentando il mondo dei servizi professionali per le aziende, ho toccato con mano le carenze dell'offerta attuale: frammentazione (fisco/bilancio, paghe, legale), sistemi informativi obsoleti che non dialogano tra di loro e con le aziende, incapacità di innovare le competenze, rendite da appartenenza a notabilati locali (vedi questo sfogo di un giovane commercialista).
La causa prima di questo è l'invadenza della normativa e dei rapporti di vario genere con la Pubblica Amministrazione, che assorbono il 90% della capacità di spesa dei clienti e delle risorse dei professionisti (leggete questo sfogo di un tributarista). Per le imprese, e la società, è un costo a perdere, un peso morto. Per sbloccarsi, servirebbe un piano copernicano di semplificazione amministrativa. Già, ma come riuscire quando le manovre di bilancio e le contromisure delle lobby aggiungono modifiche, eccezioni, complicanze alle regole vigenti, sortendo l'esito contrario?
In uno scenario di vera semplificazione, strutture più grandi, imprenditoriali, capitalizzate, potrebbero dare un grande valore aggiunto. Sarebbero inoltre un fattore di mobilità e concorrenza: quando si innova e si riorganizza, c'è più bisogno di giovani. I senior devono però ripensare il loro ruolo in senso più spiccatamente relazionale e manageriale.
Non credo che le istituzioni e le rappresentanze professionali avranno il coraggio di spogliarsi dalle bardature che danno lavoro ai molti che non possono o non vogliono cambiare. Spero in un aumento della concorrenza tra fornitori di servizi. Ne ho conosciuti diversi che sembrano cogliere i nuovi bisogni del mercato, e la conseguente necessità di cambiare i modelli di offerta. Sono questi modelli nuovi che potranno, affermandosi, superare le contrapposizioni tra professionisti certificati e non, che sono esclusivamente il frutto di privative e mercati captive creati dall'attuale ipertrofia delle regole.
Il business office può essere una fonte di ispirazione per sperimentare qualcosa di nuovo. Stampa questo post

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Salve, in questi due anni di esperienza lavorativa post-universitaria non posso che confermare quanto sopra descritto. Nei servizi ai privati, dove opero, la situazione è alquanto preoccupante, per qualità delle persone che si propongono, ma anche per abitudini della clientela che non permettono di mettere in atto le innovazioni necessarie. Non oso immaginare quale sia la situazione effettiva del mondo small business oppure corporate che sia, ove i problemi presentano dimensioni maggiori per loro natura. In un momento di mercato come questo è auspicabile che si muti verso altri paradigmi, per permettere una continuità al nostro sistema economico.

Anonimo ha detto...

Ciao Giovanni. In Italia è successa una cosa strana: abbiamo consumato voracemente innovazione tecnologica a scopo ludico (telefonini, smartphone, ipad, piattaforme di gioco online). Non ci siamo dannati l'anima con l'innovazione che serve a lavorare e a collaborare meglio. Uno dei tanti misteri italiani.