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venerdì 24 settembre 2010

Accordo da 10 miliardi Piccola Industria - Intesa Sanpaolo



Grande risalto sul sito del Sole 24 ore all'accordo da 10 miliardi rinnovato ieri da Confindustria Piccola Industria e Intesa Sanpaolo. E' stato presentato a Roma nella sede di Confindustria, da Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, e da Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria Piccola Industria, insieme con Corrado Passera, consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, e Marco Morelli, direttore generale vicario di Intesa Sanpaolo e responsabile della Banca dei Territori. I contenuti sono illustrati nel comunicato della banca:
Il nuovo accordo conferma e prolunga gli strumenti attuati da quello precedente, disegnati per fronteggiare le principali emergenze della crisi, come ad esempio la linea di credito aggiuntiva per la gestione degli insoluti e il pagamento dei fornitori, i programmi di ricapitalizzazione per il rafforzamento patrimoniale, l’allungamento fino a 270 giorni delle scadenze a breve termine e il rinvio rate su mutui e leasing, diventate poi oggetto dell'Avviso comune ABI del 3 agosto 2009: in 12 mesi si è potuto dare un riscontro positivo a oltre 50.000 richieste.
Inoltre mette a disposizione 10 miliardi di euro di plafond specificamente destinati a interventi e investimenti nei tre ambiti strategici individuati da Piccola Industria e Intesa Sanpaolo per rilanciare la competitività delle aziende italiane: Internazionalizzazione, Innovazione e Crescita Dimensionale.
L’accordo permetterà inoltre di valorizzare i nuovi strumenti diagnostici e di simulazione studiati per agevolare il dialogo tra clienti e banca e per facilitare la bancabilità di aziende e progetti anche alla luce dei requisiti di Basilea. Nella fase di messa a punto e test è stata verificata la possibilità di migliorare il rating e quindi la capacità di credito delle imprese.
Nell'occasione, la leader degli industriali ha chiesto al Governo che «da qui a dicembre, metta in piedi un progetto per le riforme, per la competitività, con provvedimenti e stanziamenti a favore della ricerca e dell'innovazione, ma anche dell'internazionalizzazione utilizzando la leva fiscale per favorire la capitalizzazione e l'aumento dimensionale delle imprese».

Luca

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18 commenti:

Gigi ha detto...

Ottimo che le banche sostengano le imprese in crisi.
Bisogna che sappiano discriminare, ed il compito non è facile, tra chi merita e chi no il sostegno.
Altrimenti si rischia di preparare la prossima crisi. Le imprese devono sapersi rinnovare e la liquidità deve essere destinata a superare crisi momentanee e puramente congiunturali di pura illiquidità. Se la finanza interviene per sostenere imprese sostanzialmente o prospetticamente fuori mercato (per vari motivi, tecnologici, organizzativi, di prodotto) non solo investe male i soldi dei depositanti, ma innesca un meccanismo che porterà alla prossima (e più grande) crisi sistemica. Le banche devono essere capaci di discriminare tra progetti che hanno una prospettiva (ed è comunque sempre una scommessa) e quelli che non ce l'hanno. Non credo che il sistema dei rating previsto da B2 e B3 sia adeguato a questo tipo di valutazione. Una volta c'erano i settoristi dentro le banche che conoscevano (quelli bravi!) a fondo un settore industriale e deliberavano linee di crediti per progetti di investimento dei quali sapevano vita morte e miracoli. Ora abbiamo degli addetti che deliberano solo se i rating sono positivi e sono poco specializzati nella conoscenza del settore economico di riferimento. Qui si apre tutto il discorso sulla validità dei rating, la loro capacità previsionale e delle statistiche sottostanti. Si dà sempre per scontato che siano buoni ed avanti così. Ma io studi empirici sulla affidabilità dei rating non ne ho mai visti.
Ne avete qualcuno da segnalarmi? Sarò contento di ricredermi....

Sapio ha detto...

Caro Gigi,
hai ragione al 99%. Però le banche che aspirano all'Irb devono passare gli esami in BdI sull'affidabilità dei rating. Il problema è che funzionano in un mondo "mono-tono", dove non ci sono discontinuità e domani andrà come è andato ieri. Ma questa crisi non è "mono-tona" ma eccezionale. E quindi ......

Gigi ha detto...

...quindi?? a me interessa l'1%! Dimmi dove ho torto. Come viene valutata l'affidabilità dei processi di rating? E' questo che voglio sapere. Se il modello di valutazione (di bankit) dei modelli di valutazione (delle banche) non tiene (e la monotonicità esiste solo nei modelli, non nella realtà), stiamo freschi tutti. Abbiamo basato tutta la nostra costruzione finanziaria su un castello di carte. Se fatti bene i castelli di carte stanno anche in piedi, al primo venticello però....
A chi giovano i miei modelli che funzionano nel 99% dei casi se poi basta l'1% delle situazioni per provocare il disastro e far fallire le banche? Alle società di consulenza? Ai manager che li propongono? Bisogna essere protetti al 100%, anche al costo di aumentare i requisiti patrimoniali (i ciccioni sono meno agili e scattanti, ma in caso di carestia sopravvivono), e rivedere i modelli di valutazione. Altrimenti le soluzioni saranno solo pannicelli caldi che tenderanno a far soffrire il malato di meno temporaneamente prolungando e non evitandone però l'agonia.

Sapio ha detto...

Ma non hai torto! E' BdI che deve spiegarci come valuta l'attendibilità "trough the cycle" delle banche che vorrebbero diventare IRB. La verità è che è difficile pure per loro. E' difficile per tutti, e per questo tirano il freno di cui le imprese si lamentano.

Gigi ha detto...

Secondo me non è difficile: è impossibile. Almeno per come sono concepiti i rating ora e per l'impianto teorico di BIS2-3. Si basa sugli assunti della teoria dei mercati finanziari (da Markowitz in giù, Black-Scholes-Merton, etc.etc.) Modelli belli da studiare, da far girare su un computer ma che poco hanno a che fare con la realtà soprattutto nei momenti di crisi, quando la correlazione tra le attività finanziarie (che sono le passività di un altro) esplodono, ovvero quando servirebbero di più (a che mi serve un navigatore se conosco già la strada?)
Per fare modelli della realtà servono semplificazioni e in queste si perdono i dettagli che poi ti rientrano dalla finestra e ti scombussolano il modello. La crisi dell'LCTM lo dimostra ampiamente.
Meglio ammettere che non siamo in grado di fare grandi previsioni, che i modelli di rating sono utili ma non possono né sostituire la valutazione qualitativa né determinare il valore degli asset di una banca RWA in maniera acritica.
Se non lo facciamo stiamo già preparando la prossima crisi.

Sapio ha detto...

Gli attuali modelli di rating si basano su tre macrocomponenti (dette gambe):
1) l'andamentale, cioè la storia del comportamento pregresso del cliente (regolarità, esposizione, riserva di credito etc). Si noti che non esiste per le nuove iniziative.
2) i bilanci (falsi per definizione visto che sono redatti a scopo fiscale). Assurdamente non possono essere rettificati (se volete ci torno sopra in seguito)
3) il giudizio qualitativo (poche voci disperate compilate più per dovere che per convinzione).
Non c'è nulla che riguardi il futuro (progetto, business plan e piano finanziario). Ma c'è di più: in banca non c'è più nessuno che sappia giudicarlo. Le banche "automatiche" pretendono che pochi deliberanti giudichino in nanosecondi il destino di un'azienda.
Di chi è la colpa? Chi ha permesso che in ogni città ci siano più banche che bar o negozi di alimentari?
Il rating è figlio di questi problemi. Gli accantonamenti sono figli del rating. I risultati economici sono figli degli accantonamenti. Passo la parola!

Gigi ha detto...

Per tornare sui rating, caro Sapio hai perfettamente ragione:
1) Andamentale: è come guidare una macchina guardando lo specchietto retrovisore e da lì dedurre la strada che hai davanti;
2) Bilanci: anche se non sono tecnicamente e giuridicamente falsi sono sicuramente poco rappresentativi della reale capacità economica: del resto la quantità sterminata di italici contabili, commercialisti, tributaristi, ragionieri trova giustificazione di esistere e reddito nella spasmodica ricerca nelle pieghe delle norme fiscali di modalità, diciamo, di risparmio;
3) Giudizio qualitativo: stendiamo un velo pietoso (ho visto cose che voi umani....);
Di chi è la colpa?
Non è facile rispondere, le cose sono abbastanza complesse ed articolate, ma io un'idea chiara me la sono fatta.
Se ho tempo ci scrivo un libro sopra, non è argomento da esaurirsi in un post.

andrea bianchi ha detto...

quando gli strozzi affidavano i capitani di ventura si premuravano di conoscerne la consistenza e la preparazione delle truppe,
la loro fedeltà, l'affidabilità degli armamenti, la capacità di leadership e strategicadei condottieri, la loro storia, il contesto, gli avversari, gli alleati
ma non tutti gli avvenimenti del futuro sono prevedibili
non esiste il cento per cento
sono passate diverse centinaia di anni ma cosa cambia nell'affidare un'impresa rispetto a cosa serviva per affidare una compagnia di ventura?
poco, credo
poco rispetto alla riduzione tendente allo zero del rischio
cosa cui l'uomo tende da quando sta sulla terra ma che non raggiungerà, fortunatamente, mai
niente vi è di salvifico, in questo senso
viva bartolomeo colleoni e giovanni dalle bande nere

Gigi ha detto...

Credo che siamo tutti d'accordo sul rischio d'impresa. Non era a quello quando mi riferivo al 100%. Non siamo neanche capaci di prevedere il tempo di domani con il 100% di sicurezza! Mi riferivo al fatto che i modelli con i quali valutiamo il rischio funzionano nel x% dei casi (99% era una ipotesi ottimistica, in realtà magari si applicano al 60-80% dei casi, non so...) e poi diventano inapplicabili nel (100-x)% dei casi, e sono proprio quei casi di crisi nei quali il guadagno di 15 anni va tutto a quel paese.
Se non abbiamo modelli che coprono il 100% dei casi (e sono sicuro che non ce li abbiamo) dobbiamo affrontare la realtà con più misure di sicurezza. Quindi più capitale, meno rischio, meccanismi ridondanti di verifica interna alle banche, meccanismi ridondanti di valutazione del credito. Tutte cose che diminuiscono il ROE e tutti gli indicatori economici.
In questo senso i confidi sono una ricchezza. Sono uno di quei meccanismi ridondanti che ti permettono di valutare due volte il rischio di impresa. L'importante è che i criteri di valutazione e le informazioni su cui si basa la pratica di affidamento siano almeno parzialmente diversi da quelli della banca altrimenti avremmo una duplicazione esatta dello stesso processo, con risultati inutilmente uguali. Questa sì sarebbe una vera inefficienza.

Sapio ha detto...

La precisione dei modelli viene valutata dall'Accuracy Ratio (in italiano indice di concentrazione del Gini). Se supera il 55% è grasso che cola. E questo per tante ragioni, non ultima il fatto che i modelli sono calibrati sui bilanci ufficiali con insensato divieto di rettifica.
Quanto ai Confidi quanto dici è esatto: se il Confidi valuta bene ciò che la banca valuta male, allora si aprono spazi di intervento e profitti. Il contrario non vale, ovviamente. Ma la domanda è: veramente i Confidi sono più bravi a valutare delle banche? Io non ci credo.

Tom ha detto...

Attenti, più analisti significa più costi....per la banca. Lottare contro i "rating" è come lottare contro i mulini a vento.

Sapio ha detto...

Non lotto contro i rating. Vorrei solo fossero fatti in maniera più aperta al futuro (programmi, piani finanziari etc) e che i bilanci del campione fossero rettificati prima di essere utilizzati.

Tom ha detto...

@ Sapio: valutare i piani finanziari ha due ordini di problemi: devono essere analizzati punto a punto verificando la sostenibilità e veridicità delle assunzioni e richiedono analisti esperti nelle valutazioni prospettiche (esempio project financing). Nel 90% dei casi i piani finanziari sono speranze dell'azienda. Tutto questo non è automatizzabile a bassi costi per la banca.

Sapio ha detto...

Per le banche il costo più importante è il costo del personale seguito subito dopo dal costo delle perdite su crediti. Si tratta di decidere quali e come si vogliono abbattere i costi. Sul mercato esistono anche economiche palle di vetro.

Gigi ha detto...

@Tom: la sicurezza costa.
Togliamo le cinture, gli airbag, l'abs, l'srs etc. dalle auto e vedrai che costano meno.
Non capisco perché far costare così tanto le auto: basta il limite di velocità ai 30 all'ora in tutte le città, 50 in campagna e 60 in autostrada e metà dei dispositivi di sicurezza non servono. E' sufficiente che la gente rispetti i limiti.
Fuor di metafora bisogna decidere non solo quanto rischio portare a casa, ma quanto solido deve essere il processo di valutazione del rischio, e sulle precauzioni da prendere: rispetto al rischio questa è un meta-valutazione, di ordine superiore, di sistema, non nel sistema (è Basilea 4 tanto per essere chiari).
E comunque pasti gratis non ce ne sono. Come dice Sapio, però, una buona palla di cristallo è comunque abbastanza economica e può dare risultati migliori di certi sistemi di rating (soprattutto se alimentati da bilanci falsi e impiegati senza esperienza).

Tom ha detto...

@ Gigi: il tuo candore è ammirevole (non vuole essere una presa in giro). I piani finanziari sono fatti dalle stesse persone e con gli stessi metodi con cui si redigono i bilanci. Ripeto, il 90% dei piani finanziari è aria fritta. Vale l'adagio dei bilanci garbage in garbage out. Sottolineo, ciò che conta per le banche, specialmente le quotate, è il conto economico. Alzare i ricavi o abbassare i costi.... Rating, processo istruttorio e analisi sono il mezzo per migliorare il conto economico.

Sapio ha detto...

Però alcuni piani finanziari folli si individuano al volo!

Gigi ha detto...

Non è candore. ' che se non si fanno le cose decentemente poi le paga lo stato ovvero io, e torniamo ai discorsi di qualche post fa.... Mentre top managers di banche che falliscono e che devono essere salvate diventano ricchi, imprenditori di scarsa qualità piangono il morto perchè le casse sono vuote e minacciano licenziamenti e i politici di turno si comprano la rielezione con i miei soldi. E io pago. Non è candore: è puro, squallido, egoistico interesse smithiano