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venerdì 7 novembre 2008

Verso un mondo a tasso zero?



Scusate se torno sul tema appena trattato qui. Il commento di Bloomberg sui recenti tagli dei tassi di intervento in USA, Eurolandia, UK e Giappone (e altrove) prospetta un mondo di tassi nominali nulli (a Tokyo siamo lì, a New York quasi) il che significa, con l'inflazione attuale, di tassi reali negativi. La parsimonia non è più una virtù, a quanto pare, l'imperativo è arrestare la caduta dei consumi, e ammorbidire il rischio recessione. I tassi sono scesi e scenderanno ancora finché c'è margine, con bombardamenti a tappeto di liquidità: questo il messaggio dei banchieri centrali del G-7. E non solo i tassi monetari a brevissimo, ma anche quelli sui titoli di Stato. Se servirà, lo Stato (o la Banca centrale) forniranno la provvista là dove la domanda di mercato non basta: capitale delle banche, commercial paper, credito a medio-lungo alle imprese. Lo stanno già facendo.
Perché la manovra abbia effetto, devono crederci anche gli investitori e le banche, che invece non seguono l'ardita manovra delle banche centrali. Calano i tassi più brevi, e i rendimenti di massima sicurezza (T-bond, Bund), ma l'economia non ne beneficia appieno perché salgono i premi al rischio: in Borsa coi prezzi calano i multipli price/earnings, in banca salgono i credit spread applicati alle imprese e alle famiglie, per non parlare dei premi per il rischio paese dei paesi emergenti, o meglio, dei paesi non safe haven (ci siamo anche noi).
Faccio fatica ad orientarmi in questo scenario inedito. Sono andato a rileggere il discorso di Bernanke del 2002 che commentavo qui, sulle armi per combattere deflazione e recessione. Le politiche di oggi sono ispirate dalla paura di ripetere gli errori del passato: quelli commessi dopo il 1929 negli USA, o negli anni novanta in Giappone.
In particolare, Bernanke sottolinea le cause dell'insuccesso della lotta contro la deflazione in Giappone: (a) i massicci squilibri patrimoniali (da perdite latenti su crediti, immobili e azioni) delle banche e delle imprese, una gigantesca spugna che ha prosciugato per anni gli stimoli espansivi; (b) l'impasse del dibattito politico sui rimedi strutturali alla crisi, per risanare la finanza delle banche e delle imprese, che hanno dei costi da ripartire, e non è facile mettersi d'accordo sul come. Il problema (a) ce l'hanno oggi gli USA, il Regno Unito, altri paesi. Per evitare il problema (b) gli stessi paesi hanno sparato subito con l'armamento pesante monetario, e ora fiscale. I costi dei dissesti (con l'eccezione di Lehman) sono stati trasferiti in larga parte sugli Stati, negli USA attraverso il bilancio delle banche centrali.
Gli squilibri patrimoniali sono rimasti. Come saranno riassorbiti? Con un lungo periodo di tassi reali negativi sui depositi monetari e sul debito di maggiore qualità, in un contesto (si spera) di inflazione bassa bassa. Almeno, questa è la mia lettura ingenua delle dichiarazioni e dei fatti, e in cuor mio auguro tutto il successo a questo piano ardito dei Grandi della terra, perché se non funziona è il caos. Ci devono pensare bene, perché con i loro interventi le banche centrali e le istituzioni finanziarie pubbliche stanno montando portafogli non meno squilibrati di quelli delle monoline, dei bond insurer, delle SIV: alta leva e fortissimo mismatching di rischio e di durata. A differenza di quelli non possono fallire, d'accordo, ma a tutto c'è un limite: queste passività sono finanziate in gran parte da investitori di altri paesi.
E noi, in Italia? L'effetto della recessione ci espone al problema (a), e lo Stato non ha l'armamento fiscale dei nostri partner del G-7 per stroncarlo sul nascere, o per provarci. Non c'è alternativa: dobbiamo prendere per le corna il problema (b). Prevenire e risanare le situazioni di crisi finanziaria nel settore privato, affrontandole una ad una. E nel farlo, rispettare gli equilibri di finanza pubblica. Un lavoro eroico. E' difficile che lo faccia la politica, salvo casi clamorosi (vedi Alitalia), e a quale prezzo. Devono farsene carico le imprese, e quelle che lo faranno avranno migliori motivi per chiedere un aiuto alla politica.
Un caso esemplare di sussidiarietà.

Luca
Sull'efficacia dei piani anti-crisi contro la recessione leggete questo contributo dal blog Accrued Interest.

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